Coronavirus, che fare per uscire dalla crisi
Corriere della Sera, 24.03.20 di Giovanni Cagnoli
Il dibattito sul Coronavirus continua a essere più emotivo che razionale e la comunicazione agli italiani ai limiti dell’offensivo per la mancanza di dati e a volte per le conclusioni incoerenti con i dati. I morti sono tantissimi e ognuno è una tragedia personale, che va rispettata. Così come il personale sanitario in prima linea è un esempio di abnegazione incredibile.
Tuttavia, numeri e dati per quanto tragici vanno affrontati, e le decisioni vanno prese sulla base di informazioni (a volte carenti o limitate e quindi rischiose), dati e inferenze con livelli di confidenza elevati. Dati che poi vanno confrontati tutti i giorni con le nuove informazioni per prendere decisioni corrette. Per chi volesse approfondire i dati link https://www.worldometers.info/
Alcuni punti per provare a fare chiarezza:
1. Il clima aiuterà, ma non in modo decisivo. Probabilmente riduce il tasso di contagio r0 del 15-25% crescente con la temperatura. Aiuterà auspicabilmente a contenere il contagio al Sud, ma non lo elimina di certo.
2. La malattia colpisce tutti non solo i vecchi. Sono gli esiti ad essere diversi anzi molto diversi. Dove si fanno tanti tamponi (Germania, Corea, Austria, Norvegia) i dati sono inequivocabili e dicono che i contagiati sono distribuiti abbastanza omogeneamente per classi di età. Il virus lo prendono tutti. Ma da qui a dire che i giovani sono a rischio la comunicazione diventa capziosa. Sotto i 50 anni il tasso di mortalità senza patologie pregresse è molto vicino allo zero, meno di 0,1%.
Tra i 50 e i 60 anni la mortalità sale ma non come dichiarato e scritto dall’Istituto di Sanità del 1,2%. Questo è un dato palesemente sbagliato e trae in inganno portando a decisioni sbagliate. La mortalità del 1,2% (110 casi in Italia su 4.000 all’epoca di pubblicazione dei dati) si riferisce al rapporto dei decessi su casi riscontrati. Poiché è evidente anzi direi eclatante che i casi riscontrati (al 21 marzo 50k circa in Italia) sono un sottoinsieme molto basso della realtà, la mortalità vera ha numeratore certo e denominatore incerto o meglio certamente sottostimato.
Rapportando i decessi ai casi nelle situazioni sopracitate il rapporto è 1:100 e 1:300. Su campioni meno grandi (Norvegia e Austria) e sempre attività di rilevazione estesissima (50k tamponi, simile alla Germania per incidenza su popolazione) il rapporto a oggi è 1:300.
Per quanto tedeschi e norvegesi siano molto rigorosi e capaci di svolgere attività di rilevazione estesa, è impossibile pensare che abbiano rilevati TUTTI i contagiati vista l’elevata percentuale di asintomatici che è circa il 40-50%, incluso il caso Diamond Princess che è il laboratorio perfetto per il Coronavirus. Quindi il ratio decessi su infettati VERI può essere stimato tra 1:400 e 1:600. Ne deriva che in Italia al 22 marzo ci sono probabilmente 2,5 milioni di persone che hanno sviluppato anticorpi Coronavirus dopo il contagio, di più di due terzi in modo inconsapevole.
Si potrebbe avere il dato quasi certo facendo test su anticorpi a una popolazione statisticamente significativa. Se l’inferenza fosse confermata avremmo in Lombardia circa 1,5 milioni di persone con anticorpi e in Veneto 100k anche, e proprio, per l’azione molto più capillare di controllo effettuata quando serviva davvero.
Il tasso di mortalità per fascia di età è omogeneo in tutto il mondo. In Italia 138 decessi su circa 400 k contagiati tra 50 e 59 anni. Tasso di mortalità ad oggi intorno allo 0,03 percento. Se tutti, ma proprio tutti, gli italiani tra 50 e 59 anni venissero contagiati (questo è palesemente impossibile, al 70% scatta con certezza immunità di gregge), l’aumento di probabilità di decesso nella fascia di età 50-59 è probabilmente da 0,30% senza coronavirus a 0,33 % con coronavirus.
Ovviamente il ragionamento oltre gli 80 anni è opposto e la letalità del virus già dopo i 70 anni, ma in particolare dopo gli 80, è elevata o anche molto elevata. Aumenta la probabilità di decesso facendo calcoli e inferenze analoghi del 40% e del 80-90% rispettivamente. Solo per memoria la speranza di vita a 75 anni di età nel 2000 era circa 10 anni. Adesso nel 2019 è circa 12 anni. Quindi il peggioramento di questa speranza di vita per effetto del Coronavirus se i morti fossero 50.000 circa in Italia (tanti sarebbero secondo questi calcoli se il virus si sviluppasse in tutto il territorio, sia pure con alcune correzioni per le azioni prese) è da 12 anni a 11,93 anni mediamente. Tangibile e 50.000 morti sono moltissimi, ma se volessimo a tutti i costi allungare la speranza di vita dei nostri anziani da 12 a 12,07 anni (l’opposto per capirci), è assolutamente certo che nessuno si sentirebbe legittimato nemmeno a proporre di spendere molto ma molto meno dei 300 miliardi che ci sì costerà tutto questo. Nonostante questo paradosso noi lo stiamo facendo in tutto il mondo per motivazioni di altra natura e che riguardano la sfera più psicologico emotiva che razionale. Il calcolo dei costi e dei benefici come collettività può essere scambiato per cinismo. Nulla di più lontano da me. Ma in ogni decisione collettiva questo calcolo è fondamentale, specie in decisioni che faranno da contorno alla vita dei 59,95 milioni di persone che non moriranno di coronavirus nei prossimi 10 o 20 anni.
3. Fare i test aiuta e aiuta molto.
Con 1,5 milioni di contagiati fare i test in Lombardia o in Emilia è ormai totalmente inutile. Ma al Sud e anche in Veneto, dove i decessi sono ancora molto inferiori, invece servirebbe eccome per isolare gli asintomatici nella 4° e 5° giornata. In Veneto il governatore lo ha detto e lo ha fatto. Ha preso una decisione chiara e giusta. Se poi i test non si possono fare lo si dice, ma non diciamo che non servono che invece è propaganda.
4. Comunicare.
Io penso che i messaggi da dare agli italiani siano:
- moriranno probabilmente 50.000 concittadini se il virus si sviluppasse al Sud come al Nord solo dopo 10-15 giorni. Molti meno, ma non meno di 20.000, se il contenimento funzionasse davvero. Certo l’esodo provocato dalla fuga di notizie sabato 7 marzo provocherà molti più morti di quanti ne salvi la proibizione delle corsette. La stragrande maggioranza (86% ad oggi) oltre 70 anni di età, qualcuno tra 60 e 70 anni (molti ahimè circa 5.000) e probabilmente circa 1.500 persone sotto i 60 anni. Per confronto muoiono 3.000 persone l’anno sotto 60 anni e con età media molto più bassa quindi maggiore danno sociale (figli piccoli, giovani e teenager) in incidenti stradali. La grandissima maggioranza dei decessi (ad oggi oltre il 98%) hanno 1 o 2 o 3 patologie pregresse piuttosto serie. Non sarebbero certo mancati senza Coronavirus o meglio non tutti. Il fumo incide moltissimo.
Siamo a 6.000 decessi inutile parlare di picco o altro. Meglio preparare tutti alla realtà dei fatti.
- è irrealistico pensare di “azzerare” il contagio, sconfiggere il virus o altre amenità del genere con l’isolamento. Se in Lombardia ci sono 1,5 milioni di contagiati (più o meno 30% ma conta poco) non ci sarà isolamento di sorta che regga. I servizi minimi essenziali (spesa supermercato, sanità, elettricità, rifiuti, comunicazioni, logistiche e altri ancora che è inutile enumerare) non sono comprimibili in nessun caso e implicano un’ulteriore diffusione di per sé. Siamo oltre il punto di non ritorno. A meno di andare in direzione Wuhan, ma allora il controllo sociale che è ancora in vigore non solo a Wuhan ma anche a Shanghai va eseguito e accettato. E non parliamo né di corsette né di fabbriche parliamo di limitazioni profonde e durature alla libertà. Irrealistico in Italia, e soprattutto necessari almeno 6 mesi ma forse anche 12 per essere certi che il risultato di oggi non venga vanificato dalla nuova esplosione in autunno.
- ovviamente la difesa degli operatori sanitari è sacra. Leviamoci tutti il cappello in silenzio e in ammirazione per i nostri medici e infermieri. Sono eroi moderni. Il tasso di contagio è altissimo. Il tasso di decesso è anche molto più alto così come in Cina ed è probabile che la “sovraesposizione” alla carica virale abbia un forte impatto. Temo peraltro che il fattore limitante siano i medici ... e quelli non si producono purtroppo. Però sbagliare i numeri chiusi della facoltà di medicina negli ultimi 20 anni invece si poteva evitare. Anche qui facendo 2 conti semplici anzi molto semplici. Certo che se la competenza non conta, “estraiamoli a sorte” e altre baggianate simili rappresentano la cultura dominante, è probabile che qualche ministro non sappia fare i conti e così adesso la gente muore perché mancano i medici o perché non si è voluta applicare una logica di costi standard nelle asl e i tagli sono stati fatti a pioggia.
- infine, ma non meno importante il tempo. Ridurre i casi giornalieri in Italia a 100 o 200 da questi livelli, e dopo avere superato il punto di non controllo, prenderà minimo 10/12 settimane fino a metà/fine maggio. Inutile illudere gli italiani. Il picco è un concetto statistico di nessun rilievo. Quando inizieremo a tornare a vivere normalmente? Ben oltre il picco purtroppo. 3 mesi così come ora sono insostenibili. Moralmente, economicamente, da tutti i punti di vista. Ma ci diranno “ma non si può fare diversamente”. Non è assolutamente vero. Si può eccome se si vuole e se si ha il coraggio delle proprie decisioni. Se si è davvero come Churchill o come Draghi “whatever it takes”
- quanto costa al Paese tutto questo? Secondo la mia stima molto imperfetta 300 miliardi di euro circa, il 20% del pil. Debito su pil a fine 2021 circa 170% forse di più tenuto conto calo del pil (8-12%). Sostegno alle famiglie 40-50 miliardi di euro. Minori introiti fiscali per 100 miliardi divisi tra 65% circa nel 2020 e 35% nel 2021. Forse questo numero è più alto o molto più alto e poi ci sarà il 22 e il 23.
Assicurazione statale erogazioni credito alle imprese (fondamentale farlo subito e farlo molto bene con forma semplice e nessuna burocrazia), costo 50-70 miliardi.
Sussidi vari ad aziende “strategiche” (da Alitalia che strategica non è per nulla ma è stata salvata immediatamente e una volta di troppo nel primissimo decreto), costo 20-30 miliardi.
Cassa integrazione e altre provvidenze per crollo impiego (naspi, cigs, cigo, cassa in deroga e altre ancora), costo 30-40 miliardi.
Miglioramento sanità 20 miliardi almeno.
Errori, ritardi ed omissioni su quanto sopra 50 miliardi e temo che quest’ultimo numero sia sottostimato.
Totale 300 miliardi di euro.
I soldi ci sono, si stampa debito e li troviamo. Tra BCE, ESM, fine del patto di stabilità e Coronavirus bond e altre forme tecniche li troviamo. Non ho dubbi.
Ho invece molti dubbi che sia chiaro agli italiani che questi soldi non ce li regala nessuno. Non il Governo, non l’Europa, men che meno i partiti di qualsiasi tipo. Questi 300 miliardi sono debiti che i privati che lavorano e le aziende dovranno ripagare nei prossimi 20 anni con un costo del 1% del pil all’anno circa da sommare un altro 1% del pil per la scelleratezza della gestione del debito negli anni 90.
Quindi siccome pubblico impiego, pensioni e welfare, sanità, giustizia, ordine pubblico, istruzione, università e ricerca, arte e cultura, beni culturali, vengono pagati e sostenuti unicamente dal settore privato, e poiché non prevedo alcun contributo appunto da parte del pubblico impiego e dagli enti pubblici (nessuno ne parla, colpevolmente a mio avviso), significa che il settore privato si dovrà accollare una tassa costante del 2 % del pil all’anno per salvare il paese, le sue istituzioni, i suoi diritti, la sua storia, il diritto della generazione nata dopo il 1990 a vivere come noi baby boomers nati tra negli anni 50 e 60 abbiamo vissuto, diritto che per me padre di 4 figli sarebbe invece eticamente e moralmente sacrosanto.
Il settore privato che sostiene tutto quanto sopra sarà devastato e dovrà prendersi la quasi totalità dell’onere di aggiustamento, in molti anni senza alcun dubbio o alternativa. Io penso sarebbe bene esplicitarlo, renderlo palese e chiaro a tutti, anche perché circa l’80% delle risorse fiscali e dell’export generate dal paese vengono dalle regioni che già sono state devastate.
La fantasia fiscale del legislatore italiano ha pochi eguali. Le forme escogitate saranno le più varie ma i soggetti saremo noi tutti. Per contro e proprio perché è evidente oltre che ineludibile che sarà così, tutto l’aiuto possibile che verrà dallo Stato va dato ai soggetti che poi pagheranno il conto, ed è bene che sia chiarissimo, conclamato e culturalmente condiviso che i soldi che verranno dati sono solo ed esclusivamente soldi che verranno presi agli stessi soggetti in futuro, non sono regali, o peggio meriti dei politici di qualsiasi titolo e grado. Sono soldi nostri che verranno ripagati con lavoro e impegno di 20 anni, inclusi ritardi ed errori di chi li amministra. Alcuni già oggi palesi.
Cosa fare secondo me
Chi decide si prenda responsabilità. Mio padre medico mi diceva sempre che un medico quando prende una decisone a volte rischia una vita. Se si sbaglia il prezzo è elevato, anzi tremendo. Qui si parla di migliaia di vite, ma i medici ogni giorno nei luoghi terribili che sono diventati i nostri ospedali Lombardi prendono migliaia di decisioni singole da soli. È bene che i nostri politici non si trincerino dietro “quello che sta bene” ma prendano decisioni e se ne assumano la responsabilità.
Le azioni immediate sono secondo me:
1.Chiusura totale delle aziende non essenziali per 2 settimane. Già fatto, salvo avere dimenticato le filiere dopo l’annuncio direi ormai “tradizionale” sabato alle 23 e correzione postuma del decreto.
2. Distinzione della popolazione in 3 fasce.
Fino a 55 anni: Verde. Da 55 a 65 anni: Giallo. Oltre 65 anni: Rosso.
Non l’ho inventato io, lo fanno in Israele, luogo notoriamente di intelligenza e tradizione culturale altissima e con una certa consuetudine alla grande calamità.
Per i 65enni, per il loro bene, misure di contenimento drastiche. Si organizza da subito, come servizio essenziale il recapito a casa della spesa. Fatto da 30enni. Volontari o no. L’esercito può aiutare. I vecchi stanno a casa, ahimè da soli anche se convivono (20% dei casi circa). In ogni caso a casa sono meno esposti che al supermercato. Può durare 3 mesi forse di più, ma ne va della loro vita. Penso sia gestibile e sarebbe anche bello ed educativo vedere i nostri giovani che in un periodo in cui si lavora poco o si riparte piano e non si va a scuola, fare qualcosa di bello per salvare qualche vita dei loro nonni.
Per la fascia 55-65 rientro in azienda o in ufficio dilazionato di almeno 1 mese. Un intermedio tra giovani e vecchi. Quindi sì alla spesa in questa fascia, ma non in azienda almeno per un po’ di tempo.
Per la fascia 0-55 anni tempistica certa e dichiarata di apertura così costituita.
3. Tempistica riapertura certa, e soprattutto comunicata in largo anticipo, in orario normale e su tutti i media. Il 6 aprile riaprono le aziende. 4 giorni poi c’è il ponte di Pasqua. Apertura definitiva il 14 aprile. Data inderogabile. Se ci saranno ancora casi (sicuro) cercheremo di gestirli al meglio. Il 6 aprile si riaprono anche le corsette domenicali per dare un segnale.
Il 21 aprile riaprono bar e ristoranti, con le limitazioni di distanza.
Il 2 maggio si tolgono le limitazioni di spostamento per tutti e si riaprono le scuole dove non ci sono ultra 65, né alunni, né docenti (sono pensionati).
4. Informazione chiara condivisa e reale.
Si pubblica un percorso giornaliero atteso di casi, decessi per regione, provincia e fascia di età, e ogni giorno discutiamo lo scostamento rispetto alla previsione dei dati consuntivi, in modo scientifico e dettagliato. Lo stesso per letti terapia intensiva, respiratori e medici. Attuale verso previsione.
Fissiamo un percorso, brutto tremendo quanto si vuole ma definito e fissato e vediamo di quanto ci discostiamo nel bene o nel male. Se va male lo si dice. Se va bene lo stesso. Non siamo bambini. Ipotizziamo, prevediamo e pianifichiamo azioni correttive come qualsiasi organizzazione complessa sa fare e fa ogni giorno. Nella conferenza stampa delle 18 ci sono forse 50 mila vite e 300 miliardi in gioco; ci sono le vite dei nostri anziani e i nostri soldi. Chi non si prende responsabilità lascia spazio a chi se le prende e parla chiaro. Se le azioni non danno i risultati sperati forse sono sbagliate e si prendono azioni correttive. Se ci fossero scostamenti cospicui rispetto al programma se ne discute. Chiaro che le date dipendono da cosa succede, se emergono novità di scenario tali da sconvolgere il programma (cure mediche, vaccino, mutazioni genetiche, esperienze di terzi). Si fa così nelle organizzazioni complesse. Basta copiare se si è capaci e se non si è capaci si chiama chi è capace.
Trasparenza e metodo scientifico.
Si nomina un numero ristretto di gente competente che ci mette faccia e responsabilità. Se sbaglia, si alza, dice ho sbagliato, chiede scusa al paese, si dimette e avanti chi fa giusto e meglio. Responsibility and accountability. Chi decide è responsabile se sbaglia lascia subito.
5. Infine, chiarezza immediata in queste 2 settimane del programma di sostegno ai privati e alle aziende. Uno slogan unico e totalizzante. Al 1° settembre 2020 tutte le aziende ed imprese italiane saranno vive e pronte alla ripresa come lo erano al 1° febbraio 2020. Tutti, nessuno escluso, costi quello che costi. Se disperdiamo anche una minima parte del capitale umano, imprenditoriale, know how, capacità produttiva, presenza sul mercato per questo stop, il conto di 300 miliardi sarà ripartito su un numero minore di soggetti e l’aliquota sarà maggiore, forse anche impossibile da pagare, nello scenario peggiore e non solo, può anche darsi che la competizione internazionale venga a prendersi pezzi di Italia stroncati della nostra insipienza non dal Coronavirus. Quando si riparte tutti devono sapere cosa succede, cosa fa lo Stato, cosa fanno le banche e come si sostengono le banche. Sicurezza per tutti gli operatori. Si sbaglierà qualcosa? Pazienza. Ho messo in conto 50 miliardi di errori, furbetti che approfitteranno, qualche brutto episodio. 600 milioni all’Alitalia già sprecati con il primo decreto. Va bene lo stesso. Andiamo avanti. Il tempo vale di più della perfezione. Fare giusto subito all’80%-90% è molto molto meglio che aspettare 2 mesi a discutere di corsette e poi fare giusto al 95%.
Anche e soprattutto bisogna fare le cose che servono. Non quelle popolari per un’intervista, un sondaggio o una conferenza stampa. Purtroppo, non sempre, e soprattutto in questa fase convulsa quasi mai, le cose che servono sono popolari. Il metodo scientifico lo ha inventato un italiano geniale, Galileo Galilei, che poi tutto il mondo ha copiato. Se oggi un anziano di 75 ha un’aspettativa di vita di ancora 11,93 anni (12 un mese fa) il merito è suo. Gli italiani sanno essere geniali quando serve. Così come il principio alla base dell’innovazione e dello sviluppo dell’egemonia USA negli ultimi 2 secoli sviluppato da Benjamin Franklin. Why not? Perché no? Ci sono idee migliori?
Un leader e una classe dirigente non devono essere popolari. Devono essere bravi, lucidi e competenti. Poi le elezioni si faranno e giudicheranno i cittadini. Un leader in condizioni di emergenza come oggi deve prendere decisioni, deve prenderle rapidamente, deve prenderle giuste o quasi tutte giuste. E deve prendersi la responsabilità delle scelte che in questo frangente e nei prossimi 2 mesi definiranno in modo duraturo l’essenza stessa del nostro vivere sociale, della nostra geo-politica, dei nostri diritti e doveri di prossimi 20 anni.
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24.03.2020